Non avere dimora significa soprattutto non avere tutto quello che sta dentro e fuori la casa. Ciò che riguarda il vivere quotidiano, le relazioni famigliari, gli affetti, il calore di un “focolare”, nonché il necessario per mantenerlo acceso, un lavoro e la possibilità di prendersi cura di sé. La dimora rappresenta il luogo degli affetti, delle relazioni significative, dei simboli che sono elementi fondanti per essere riconosciuti, riconoscere e riconoscerci.
Le persone che si trovano in condizione di senza dimora vivono un conflitto proprio sulla dimensione sociale: le risorse dell’aggregazione si indeboliscono progressivamente, così come la capacità di costruire relazioni, legami, appartenenze, che sono la nostra forza e ci consentono di fronteggiare il presente e, soprattutto, di andare incontro al futuro con ragionevole speranza.
L’esperienza di “San Marcellino”, condivisa anche attraverso numerose pubblicazioni, ha aiutato a comprendere che le persone in condizione di senza dimora, per i motivi più diversi, manifestano un distacco progressivo dall’appartenenza sociale, dai riferimenti istituzionali (famiglia, lavoro, etc.), dalla partecipazione attiva al corpo sociale e vivendo un’esperienza di frammentazione dell’idea di sé. La perdita di affiliazione sociale, così determinata, è un percorso articolato e porta con sé molteplici problematiche psico-fisiche.
La strada non si sceglie, anche se talvolta fa soffrire meno dire che la si è scelta piuttosto che ammettere di non avere e non trovare alternative. La strada è una esperienza dolorosa che, però, non deve comportare la perdita dei diritti per chi vi è costretto.