09 Dic Giornata mondiale dei diritti umani
10 dicembre: Giornata Mondiale dei Diritti Umani
Un Nobel per chi costruisce la pace dal basso
«Ovviamente stiamo inviando il messaggio che la guerra deve finire». Con questa frase Berit Reiss-Andersen, presidente del Comitato norvegese per il Nobel, conclude l’intervista (disponibile in <www.nobelprize.org>) concessa subito dopo l’annuncio dell’attribuzione del premio Nobel per la pace 2022. La guerra a cui si riferisce – non c’è quasi bisogno di ricordarlo – è quella che ha come teatro l’Ucraina. Proprio ai due Paesi in guerra e alla vicina Bielorussia appartengono i premiati: si tratta di due ONG impegnate nella tutela dei diritti umani, la russa Memorial e l’ucraina Center for Civil Liberties, e dell’attivista umanitario bielorusso Ales Bialiatski (cfr il riquadro a p. 580). Con questa decisione, il ristretto Comitato incaricato di assegnare il Nobel per la pace (composto da cinque personalità norvegesi, solitamente politici, eletti dal Parlamento del Paese scandinavo) ha scelto di non ignorare quanto sta accadendo nel cuore dell’Europa e, come d’altronde ha fatto più volte nel passato, ha voluto inviare un chiaro segnale politico ai leader mondiali e non solo.
Oltre le confortanti semplificazioni
La notizia che quest’anno i vincitori del premio Nobel per la pace erano tre rappresentanti della società civile che da decenni denunciano gli abusi e le violazioni dei diritti nei loro Paesi ha fatto immediatamente il giro del mondo. In una fase in cui non si vedono concreti spiragli di soluzione alla guerra e si paventa un’escalation nucleare, l’assegnazione del Nobel ha rimesso al centro dell’attenzione globale il tema della pace e del modo per costruirla. Infatti, almeno per un momento, l’attenzione mediatica che il Nobel riesce a catalizzare ha spezzato il discorso dominante, secondo cui la guerra non potrà risolversi se non con l’affermazione sul campo di una delle parti e soprattutto che questa è l’unica via per la pace. La possibilità che la diplomazia possa riunire intorno allo stesso tavolo i belligeranti per giungere a una soluzione negoziale non è presa seriamente in considerazione. Le poche voci che prendono posizione a favore di quest’ultima prospettiva rischiano di cadere nel vuoto, come ricordava il cardinal Parolin a proposito dell’impegno di papa Francesco (Parolin P., «Così la Chiesa pensa il mondo», in Limes, 7 [2022] 245-252). Già solo ridare spazio a posizioni alternative e alla domanda su come lavorare per la pace è un modo per renderla meno lontana.
Non meno significativo è che i soggetti premiati non appartengono solo all’Ucraina vittima dell’aggressione militare, ma anche alla Russia di Putin, che ha scatenato il conflitto, e alla Bielorussia di Lukashenko, suo fedele alleato. Con queste scelte, il premio Nobel aiuta a infrangere una narrazione semplicistica, che contrappone in modo manicheo i buoni e i cattivi nella guerra in corso, così come in tanti altri conflitti, mostrando invece quanto la realtà sia più complessa, ricca e articolata. La finestra che si è aperta grazie all’attenzione globale veicolata dall’autorevolezza del Nobel ha reso evidente quanto le situazioni dei vari Paesi coinvolti non siano poi così distanti. Questo vale sia per la denuncia di soprusi e violazioni, sia per la presenza di forze sane, espressione di un senso civico radicato e profondo, pronte a lottare per la difesa dei diritti umani, anche pagando in prima persona il prezzo per questo loro impegno. In più occasioni, infatti, i premiati sono stati incarcerati per motivi pretestuosi – Ales Bialiatski è in questo momento in prigione – o ostacolati in diversi modi dalle autorità.
Gli schematismi semplificanti sono confortanti quando ci si sente smarriti e confusi di fronte a una realtà che fatichiamo a dominare, ma ci restituiscono una visione distorta, che rischia di nascondere alcuni elementi, perché meno evidenti o marginali, ma che potrebbero essere preziosi per cercare una soluzione diversa da quella che a prima vista si impone. Il processo per giungere alla pace passa anche per questo lavoro di prendere coscienza della lente attraverso cui guardiamo una situazione, come ci spinge a fare il Comitato norvegese per il Nobel in questa occasione individuando motivi incoraggianti nell’azione svolta da decenni da soggetti della società civile.
La costruzione della pace inizia dalla società civile
Nella motivazione ufficiale, il Comitato ha voluto sottolineare l’importante ruolo svolto dalla società civile nella difesa e nel rafforzamento della pace e della democrazia, tributando così un chiaro riconoscimento non solo a chi ha ricevuto il premio Nobel quest’anno, ma a tutte le realtà che in ogni parte del mondo ne condividono lo spirito e la missione.
Viene così ribadito in modo forte che la costruzione della pace inizia dal basso, dall’essenziale, dal rispetto dei diritti umani delle persone e delle comunità all’interno dello Stato di cui fanno parte, dal riconoscimento della dignità di ogni essere umano e dal superamento delle situazioni di inequità, di ingiustizia, di mancanza di sviluppo umano integrale (cfr Fratelli tutti, nn. 233 e 235). I cedimenti su uno di questi aspetti non sono inezie, ma passi nella direzione di una logica che giustifica e alimenta la violenza – in un primo momento verbale e poi in un crescendo anche materiale – nei confronti di concittadini, perché ad esempio appartengono a una minoranza o sostengono idee con cui non si è d’accordo. Se questa conflittualità non è riconosciuta e affrontata per tempo e in modo adeguato, vi è il rischio che si avviti su se stessa e si incancrenisca, per poi eventualmente ampliarsi fino a scala globale. È il filo rosso che unisce tante vicende a livelli diversi, in Italia come altrove, dalle aggressioni e intimidazioni ai danni delle donne e dei migranti, a episodi come l’assalto al Campidoglio di Washington del gennaio 2020, ai conflitti bellici internazionali.
Metter(si) in discussione
Proprio questa opera di documentazione degli atti di violenza accaduti è al centro dell’azione di Memorial, l’ONG russa nata su iniziativa di un gruppo di attivisti alla fine degli anni ’80, quando l’Unione Sovietica stava per crollare, per evitare che venissero dimenticati i crimini perpetrati dal regime sovietico. La trasmissione di una memoria viva è stata concepita dall’ONG come strumento essenziale in una duplice chiave: ristabilire la giustizia nei confronti delle vittime di ieri e di oggi, evitando che finissero nell’oblio o rimanessero nel discredito; porre le condizioni perché attraverso la crescita della coscienza civile queste atrocità non si ripetano. Si tratta di un’intuizione profonda, il cui valore e la cui fecondità sono stati sperimentati già in altri contesti, come le vicende della Seconda guerra mondiale, in particolare la Shoah, o gli anni del terrorismo in Italia.
Il ricorso alla memoria aiuta anche a interrogarsi sul proprio operato. Nel giugno 2022 Elena Zhemkova, direttrice esecutiva di Memorial International, in occasione della consegna della laurea honoris causa da parte del prestigioso ateneo parigino Sciences Po, con estrema lucidità ha svolto questo esercizio rigoroso di rilettura sul lavoro svolto dall’ONG, con la sensazione dolorosa che non sia stato sufficiente, alla luce della situazione in Russia e dello scoppio di un altro conflitto in Europa. Nelle sue parole si coglieva come la scelta di mettere in discussione riguardasse non solo le azioni di altri, ma anche la propria attività. Mettere e mettersi in discussione sono due conseguenze di un medesimo atteggiamento di fondo, che tende alla ricerca di un bene più grande, senza accomodarsi sui risultati raggiunti, anche quando riscuotono il plauso generale. È questa la radice di un lavoro che costruisce la pace, e che il Nobel riconosce e ripropone all’attenzione globale.
Una scommessa politica
Rispondendo a una domanda sui possibili effetti del premio Nobel, la presidente del Comitato Berit Reiss-Andersen ha dichiarato: «Non credo che avrà un immediato impatto sull’andamento della guerra», aggiungendo subito dopo: «ma ciò che credo profondamente è che il tipo di lavoro che abbiamo premiato nel lungo termine farà la differenza». Il premio Nobel conferito a tre realtà della società civile impegnate nella difesa dei diritti umani e dello Stato di diritto in Paesi in cui la democrazia è fragile o assente non è solo un atto di incoraggiamento o una pia speranza, ma una vera e propria scommessa politica. Per i membri del Comitato, la pace del futuro, quella che può essere più forte e radicata, si sta già costruendo oggi con l’azione di soggetti come Memorial o il Center for Civil Liberties, oppure grazie alle scelte di Ales Bialiatski. Questo accade nei Paesi dei tre premiati, ma anche in tutte le altre situazioni in cui la società civile è attiva, partecipe, propone, resiste, molte volte in modo poco visibile, ma sempre efficace, almeno secondo la valutazione del Comitato norvegese per il Nobel. A chi si spende per questo, specie in contesti difficili come i tre Paesi in questione, richiede la disponibilità a pagare di persona. A tutti gli altri, noi compresi, chiede di offrire sostegno e collaborazione. Il Nobel appena conferito è allora un appello alla responsabilità del mondo intero e di ciascuno di noi.
Editoriale di Giuseppe Riggio sj / Aggiornamenti Sociali, novembre 2022
I premi Nobel per la pace 2022
Nato nel 1962, Ales Bialiatski è stato uno dei promotori del movimento democratico sorto in Bielorussia a metà degli anni ’80. Per la sua attività è stato arrestato più di 25 volte ed è attualmente in carcere. Nel 1996 ha fondato l’organizzazione Viasna a Minsk, che ha preso posizione contro le modifiche costituzionali, ha fornito sostegno ai manifestanti incarcerati e alle loro famiglie e ha documentato e protestato contro l’uso della tortura da parte delle autorità nei confronti dei prigionieri politici.
L’organizzazione russa per i diritti umani Memorial è stata fondata nel 1987 da attivisti dell’ex Unione Sovietica che volevano tenere viva la memoria delle vittime dell’oppressione del regime comunista attraverso un centro di documentazione. Inoltre, Memorial ha sistematizzato le informazioni sull’oppressione politica e sulle violazioni dei diritti umani in Russia. Nel 2021, la Corte Suprema della Russia ha ordinato a Memorial International di cessare l’attività per violazione della legge sugli agenti stranieri.
Il Center for Civil Liberties è stato fondato a Kiev nel 2007 allo scopo di promuovere i diritti umani e la democrazia in Ucraina, lavorando per rafforzare la società civile ucraina e fare pressione sulle autorità affinché l’Ucraina diventi una democrazia a tutti gli effetti. Dopo l’invasione del Paese da parte della Russia nel febbraio 2022, il Center for Civil Liberties si è impegnato a identificare e documentare i crimini di guerra russi contro la popolazione civile ucraina. I premi Nobel per la pace 2022
MLA style: Center for Civil Liberties – Facts – 2022. NobelPrize.org. Nobel Prize Outreach AB 2022. Wed. 19 Oct 2022. https://www.nobelprize.org/prizes/peace/2022/center-for-civil-liberties/facts/
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/un-nobel-per-chi-costruisce-la-pace-dal-basso/