15 Set Educazione al lavoro in tempo di Covid-19
Anche i servizi dell’Area educazione al lavoro hanno dovuto misurarsi con le fatiche e i cambiamenti dovuti alla pandemia, ce lo racconta nelle righe a seguire il responsabile Amedeo gagliardi
Fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, San Marcellino ha cercato un modo per confrontarsi con il tema del lavoro con le persone senza dimora. Come molti di voi sanno, i laboratori di educazione al lavoro sono ancora oggi lo strumento centrale di questo tentativo. Attraverso questo luogo si tenta di “giocare al lavoro”. Cercando di simulare il lavoro con le persone, ognuno prova a misurarsi con un’esperienza lontana, per alcuni mai compiuta, cercando di trarne senso e significato. I Laboratori sono cinque, che poi sono le diverse attività di servizio rivolte all’interno delle strutture di San Marcellino: pulizie, piccole manutenzioni, lavanderia, cambusa e cucina.
Questo modo di procedere, negli anni, ha favorito la crescita in consapevolezza dei limiti e delle capacità delle persone, decisiva per migliorarne la qualità di vita.
La pandemia ha preso alla sprovvista anche questa attività che abbiamo dovuto rimodulare, per evitare al massimo il rischio di contagio, continuando per necessità a svolgere i servizi per le strutture. Con fatica abbiamo ridotto i contatti di squadra, svolgendo le attività fatte fianco a fianco, singolarmente o almeno con le dovute distanze, soprattutto nella prima fase, quando anche i dispositivi di sicurezza erano introvabili. La sensazione di fatica si è fatta sentire in quanto abbiamo dovuto controbilanciare un distanziamento fisico con una maggiore presenza, monitoraggio e vicinanza personale, anche attraverso lo strumento telefonico dilatato oltre le ore di servizio, per far sentire le persone, nonostante la lontananza, ancora partecipi. In questi anni abbiamo imparato come queste persone, inevitabilmente per le esperienze pregresse, chi più, chi meno, soffrano di un senso di solitudine e di abbandono piuttosto marcato. L’esperienza dei laboratori pertanto viene vissuta spesso come un lavoro autentico e reale, un modo per sentirsi ancora utili, vitali, riconosciuti dalla comunità, e l’allontanamento viene emotivamente percepito come l’ennesimo rifiuto e fallimento. In questo il Covid ha messo a dura prova le relazioni che faticosamente si sono costruite nella loro specifica differenza e peculiarità per ogni persona. Anche se possiamo essere soddisfatti di come fino a oggi, complessivamente, siamo riusciti a reagire a questa pandemia, abbiamo registrato un improvviso abbandono da parte di una persona. Potete dunque facilmente immaginare, come per ognuna delle ventiquattro persone e anche per noi operatori, coinvolti quotidianamente nel tentativo di costruire questa dimensione importante dell’appartenenza sociale, il Covid abbia reso l’esperienza ancora più impegnativa e difficile.