12 Giu Fase 3
Condividiamo alcune considerazioni sulla cosiddetta fase tre e la condizione di senza dimora.
Martedì 9 giugno il dormitorio comunale “Massoero” ha terminato l’accoglienza h24 tornando alla ordinaria modalità notturna, si è conclusa l’esperienza del dormitorio in emergenza nell’ex Ostello della gioventù di via Costanzi e, contemporaneamente, sono tornate ai soliti orari notturni quelle strutture che non sono in grado di garantire una copertura h24 senza il finanziamento della Civica Amministrazione.
Una decisione senza dubbio difficile per tutti.
Riteniamo che in molti avremmo preferito prolungare il più possibile il periodo di maggiore protezione per le persone che accogliamo, ma bisogna fare anche i conti con le risorse economiche a disposizione dei servizi dedicati alle persone in condizione di senza dimora attraverso il Patto di sussidiarietà.
Il Paese è entrato nella FASE 3 e con lui l’organizzazione dei servizi.
Nella FASE 3 è entrata anche Alisa (Azienda Ligure Sanitaria) che, dopo mesi di non competenza sulle residenze sociali, si è espressa, con la delibera 185 del 21 maggio scorso, sulle procedure per i nuovi ingressi nelle strutture sociali e, poco dopo (29 maggio e 5 giugno), concedendo una deroga (se giustificata) per la capienza delle stanze. In poche parole, gli ospiti che al mattino escono dal dormitorio e rientrano alla sera non passano attraverso le procedure dei nuovi ingressi e tutte le strutture che garantiranno la “zona buffer” (stanza dedicata all’isolamento preventivo dei nuovi ospiti) avranno la possibilità in deroga di recuperare in altre stanze l’equivalente dei posti persi per la suddetta zona, superando così le norme sulla capienza delle stanze.
Allora proviamo a immaginare la giornata tipo di una persona accolta in un dormitorio: al mattino l’ospite deve lasciare la struttura in cui pernotta, deve trascorrere 12 ore per strada, durante le quali si procurerà il cibo probabilmente fruendo dei luoghi di distribuzione frequentati anche da chi dorme all’addiaccio, deve impegnarsi a mantenere le buone pratiche di prevenzione al contagio da Covid-19 e, infine, tornare a dormire in una struttura dove deve condividere una stanza in uno spazio che costituisce uno “stretto contatto”, nella speranza che i suoi vicini di letto siano stati altrettanto attenti e disciplinati nelle regole di prevenzione. Tutto questo in un periodo in cui non sono funzionanti o a regime tutti quei servizi e attività diurni che rispondono ad apparentemente semplici necessità come, per esempio, l’utilizzo di un bagno.
A noi pare che le accoglienze notturne da spazi di tutela per persone in difficoltà rischino di trasformarsi in luoghi di maggiore possibilità di contagio e in alcune città questo è già successo (cfr. per es.: Corriere della Sera di Bologna oppure Repubblica di Bologna).
È vero, quindi, che il Paese è entrato nella FASE 3, ma è altrettanto vero che molte persone non sono messe nella condizione di poterla affrontare, impegnandosi responsabilmente per la propria salute, per quella di chi sta loro vicino e di tutta la cittadinanza.
Inoltre, se al profilo dell’ospite responsabile affianchiamo quello di chi fatica a cogliere il significato di prevenzione o non è nemmeno in grado di prendersi cura di sé o, peggio ancora, non riesce ad invertire uno stile di vita pericoloso per la propria persona, la situazione diventa più complessa.
Ma è proprio su questa complessità che noi, quotidianamente, lavoriamo.
Non siamo gestori di rifugi notturni per persone che non hanno risorse per pagarsi una stanza.
Quindi non siamo contenti di quanto sta accadendo e siamo preoccupati.
Certamente sarebbe stato bello che la Pubblica Amministrazione, in un periodo così drammatico e straordinario, avesse trovato le risorse per garantire ancora un potenziamento dei servizi alle persone in condizione di senza dimora, ma se non è possibile ne prendiamo atto.
Certamente sarebbe stata più efficace una delibera di Alisa dopo un confronto con chi lavora nel settore, ma siamo consapevoli della grande emergenza che la sanità si è trovata ad affrontare.
Siamo, invece, preoccupati del rischio di interpretare questa esperienza dei servizi dedicati alla grave emarginazione durante la pandemia come la risposta più adeguata o efficace considerati i mezzi a disposizione.
Senza dubbio ci abbiamo provato. Fino a ora ogni componente del Patto, Comune compreso, si è speso nel trovare soluzioni e risorse per una situazione tanto difficile quanto eccezionale.
Ma se quanto fatto ci ha portato a una tale FASE 3 qualcosa non ha funzionato.
Abbiamo dimenticato la complessità del contesto in cui lavoriamo, stiamo rinunciando allo scopo per cui esistono i nostri servizi e rischiamo di togliere senso alle azioni fin qui programmate.
Nel nostro lavoro chiediamo alle persone che incontriamo il grande sforzo di confrontarsi con noi, di porre lo sguardo sulle loro azioni, di riconoscere le proprie potenzialità e i propri limiti per tentare insieme di sostituire comportamenti nocivi alla loro vita e a quella degli altri, con nuove possibilità di trovare un posto significativo nel mondo.
Per fare tutto questo coerentemente, riteniamo sia imprescindibile essere anche noi disponibili a tale sforzo per non ridurci a semplici gestori di ripari notturni e per rimanere fortemente aggrappati al compito di operatori della salute e della comunità, intese nel loro più ampio significato.
Diventa allora importante garantirci uno spazio di riflessione dove, noi per primi, metterci in discussione, accettando i nostri limiti e investendo sulle nostre potenzialità, per superare una situazione che non ci piace e ritrovare senso e dignità in ciò che facciamo.
Senza dubbio ci proveremo.