07 Mar 8 Marzo: Giornata Internazionale delle Donne
8 Marzo: non è una festa
l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 32/142 del 16 dicembre 1977, invitò tutti gli Stati, nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, a dichiarare un giorno all’anno “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale”. La scelta cadde sull’8 marzo che già in molti paesi veniva festeggiato, nel solco delle iniziative sorte nel 1908 in America, e negli anni seguenti, in Germania, in Russia e altri paesi, a favore di una giornata che ponesse l’attenzione sui diritti delle donne.
La Risoluzione riconosceva il ruolo delle donne nella lotta per la pace, contro il colonialismo, il razzismo, le discriminazioni razziali e invitava gli stati membri a continuare a creare condizioni favorevoli per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne e per la loro piena e eguale partecipazione allo sviluppo sociale e agli sforzi per rafforzare la pace internazionale.
Da allora è indubbio che molti passi avanti sono stati fatti a livello mondiale grazie alle lotte delle donne, ma non in tutti i paesi e non con gli stessi risultati.
A livello internazionale la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) dell’ONU, approvata nel 1979, rappresenta il più importante strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di diritti delle donne.
La Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa nel 2011, rappresenta il primo strumento internazionale con norme vincolanti per prevenire la violenza di genere. Ma, a oggi, l’UE non ha ancora concluso la sua ratifica a causa della mancanza di quella di sette stati membri. L’applicazione di entrambe le Convenzioni prevede una verifica periodica sull’operato degli stati sottoscrittori. In entrambi i casi l’Italia risulta carente nell’applicazione complessiva delle norme previste.
Recentemente il Parlamento Europeo, nell’approvare le priorità della prossima Commissione ONU sullo status delle donne, denuncia “inequivocabilmente il regresso della parità di genere e le misure che compromettono i diritti, l’autonomia e l’emancipazione delle donne”.
Statistiche e studi autorevoli documentano questo regresso e la distanza che ancora esiste alla piena attuazione della parità di genere, ma è la stessa realtà che viviamo quotidianamente che ci da la misura dello stato dei diritti delle donne.
I femminicidi, quasi quotidiani, continuano inesorabili senza che si intravveda una strategia nazionale complessiva e coordinata per arrestarli, ignorando le indicazioni della Convenzione di Istanbul i cui capisaldi, strettamente connessi tra loro, sono la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e la punizione dei responsabili. I Centri Antiviolenza sono allo stremo per scarsità di fondi statali o, in molte zone del Paese, non esistono affatto lasciando sole le donne ad affrontare la violenza. Il mondo del lavoro continua a essere scarsamente accogliente, se non apertamente ostile, alle scelte di maternità delle donne che, in molti casi costrette a scegliere tra maternità e lavoro, sono in ogni caso oberate quasi esclusivamente dal lavoro di cura famigliare.
Ancora pochi i nidi e le scuole materne pubbliche accessibili, contratti che non garantiscono alcuna possibile progettualità futura, un divario retributivo e pensionistico che impoverisce le donne non solo economicamente, figure apicali che continuano a essere a maggioranza maschile. Un pensiero strisciante che di fronte alla crisi vorrebbe nuovamente le donne a casa, a occuparsi esclusivamente della famiglia. Una presenza delle donne ancora troppo scarsa nella rappresentanza politica istituzionale. Un paese che si stupisce ogni qualvolta scopre di avere eminenti scienziate, perché, si sa, le materie scientifiche non sono per le donne.
Una scuola ancora inadeguata, sostanzialmente lontana da un modello in cui le future donne e uomini possano crescere riconoscendo il valore reciproco e il rispetto delle differenze.
Siamo ancora una società immersa negli stereotipi di genere: mass media, programmi televisivi, mondo della pubblicità, ripropongono figure femminili umiliate e umilianti, rappresentanti politici che insultano e denigrano le donne, resoconti di femminicidi che continuano a parlare di “motivi passionali”, resoconti di stupri che indagano su dove era, come vestiva e cosa faceva la donna, ma tacciono sulle colpe dell’aggressore facendo intendere che infondo la donna se l’è cercata e un po’ di violenza da parte di un uomo è, in fin dei conti, normale. Dinamiche che a volte ritroviamo anche in alcune aule di tribunale, in alcune sentenze, rigettandoci indietro nel tempo, come se tutti questi anni a spiegare, analizzare, rivendicare, non fossero serviti a nulla.
Potremmo parlare delle migliaia di donne e minorenni, vittime della tratta, gettate in pasto al miglior offerente sulle strade delle nostre città e vittime di discriminazioni multiple per essere donne, nere, straniere, povere.
Se allarghiamo lo sguardo al di fuori del nostro paese, lo scenario è, in molti casi, sicuramente peggiore, ma il dato che emerge ovunque è che le donne reagiscono, si ribellano, rivendicano i propri diritti; inarrestabili, anche se spesso a rischio della propria vita, della prigione, delle torture.
L’8 marzo, per molto tempo relegato a festa della donna e col contorno commerciale che conosciamo, ha ripreso da una decina d’anni il significato originario di celebrazione dei diritti delle donne, di un consuntivo dei fallimenti e delle vittorie, delle lotte ancora necessarie per pretendere una società più giusta per le donne e, quindi, per tutti. Ma come giustamente le donne rivendicano, con lo slogan “Io l’8 tutto l’anno”, se questa giornata continua a mantenere il suo forte valore simbolico è pur vero che un giorno solo non è più sufficiente. È più che mai necessario che l’attenzione sui diritti delle donne sia quotidiana e quotidiana sia la capacità di rispondere ai tentativi di farli regredire, di impoverire ancora di più questo Paese da un punto di vista sociale ed economico impedendo la loro autodeterminazione, escludendo o limitando, la presenza delle donne nel mondo del lavoro, delle istituzioni, ovunque possano portare la loro visione del mondo, le loro idee e competenze.
Se omaggi floreali e cioccolatini possono anche far piacere, il modo migliore per omaggiare le donne l’8 marzo è essere capaci di cambiare, è essere al loro fianco tutti i giorni e aiutarle nel rendere questa società più giusta. Non è un caso che le donne, giovani e non, siano in prima fila anche nella difesa dell’ambiente, contro lo sfruttamento indiscriminato del pianeta. O in difesa della pace, contro il razzismo, nel sostegno ai migranti, ai poveri. Perché è solo così che potremo salvare il nostro presente e il futuro delle prossime generazioni. Insieme.
Marina Dondero.