10 Dic La domanda di Yali
Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclamava la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
[…] come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.
Tanta strada è stata fatta, ma molta ne resta da percorrere e per questo motivo crediamo sia importante celebrare il ricordo di questa giornata.
Negli ultimi trent’anni la liquefazione delle strutture novecentesche della società, sia ideologiche sia della produzione, ha consentito che l’interpretazione della realtà venisse sempre più affidata alla dimensione individuale. Questo fenomeno ha generato nuove possibilità, ma anche maggiore frammentazione e ha disperso quel senso di appartenenza che consentiva un rinnovamento del legame sociale e delle istanze collettive.
La rapidità del cambiamento è diventata il paradigma nel quale le persone, le organizzazioni e le Istituzioni si muovono e sono immerse. In questo senso sono emerse nuove gerarchie sociali che di fatto hanno allargato la platea degli esclusi e generato una nuova insicurezza sociale.
In questo clima si sono fatte strada rappresentazioni della realtà che tradiscono i principi della Dichiarazione Universale con la conseguente perdita di umanità e di futuro.
Questa controtendenza culturale ha visto impoverire la cultura dell’accoglienza, rendendo difficile la capacità diprogettare sul lungo periodo. La promozione di paure e di odio ha reso le persone sempre più sole e chiuse nel loro quotidiano, private degli strumenti collettivi a cui agganciarsi per elaborare un cambiamento migliorativo. Questo ha anteposto la dimensione individuale a quella collettiva, demolendo progressivamente la cultura dei diritti. Una dimensione collettiva che indebolendosi ha progressivamente rinunciato a misurarsi con il cambiamento e di conseguenza a poter immaginare opzioni diverse dalla chiusura, dai muri, dai sentieri di guerra.
In questo senso continuiamo a credere quanto sia importante promuovere rappresentazioni che sappiano contrastare questa deriva generando sguardi capaci di realizzare convivenza sostenibile nel rispetto della differenza di cui ogni persona è portatrice.
Per questo vi proponiamo una riflessione sull’Articolo 15 della Dichiarazione Universale:
“Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.”
Un articolo che invita a una cittadinanza nuova, universale, sostenendo la libertà di movimento per tutti i membri della famiglia umana. La cittadinanza, strumento per l’esercizio di diritti e doveri della persona all’interno dei singoli ordinamenti nazionali, viene qui concepita come cittadinanza universale. Una cittadinanza mondiale, planetaria, cosmopolita preconizzata da personalità carismatiche quali Giorgio La Pira, Padre Ernesto Balducci e oggi affermata da Papa Francesco anche attraverso la recente Enciclica Fratelli tutti. Tale visione va nella direzione di rimuovere la pigrizia e il conservatorismo di coloro che continuano a ricorrere alla rappresentazione dello stato-nazione sovrano, armato e confinario afferente a una cittadinanza costruita nel segno dell’esclusione dell’altro. Esclusione che, attraverso la rappresentazione dell’invasione, compromette il senso del nostro agire collettivo tradendo i principi e le aspirazioni che guidano la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Proviamo a cogliere l’invito proposto dall’articolo 15 cercando di diffondere e trasmettere rappresentazioni che non tradiscano la nostra storia e i valori a cui si è ispirata. Riprendendo il filo dell’articolo proposto e cercando di mettere in campo narrazioni diverse e contrapposte a quelle che hanno saturato la rappresentazione del fenomeno delle migrazioni attraverso la guerra e l’invasione, vi proponiamo una domanda.
Nel 1972, durante una lunga camminata su una spiaggia della Nuova Guinea Yali, un giovane politico locale, ragionava a voce alta con Jared Diamond sulla storia della sua terra, abitata per sessantamila anni da più di mille popolazioni indipendenti e conquistata dagli europei in soli due secoli. Una conquista avvenuta attraverso l’imposizione di un governo centrale e, qui sì, attraverso l’invasione di innumerevoli oggetti: asce di acciaio, fiammiferi, medicine, vestiti, bibite, ombrelli…, “Cargo”, come venivano chiamati dai locali.
La domanda di Yali evidenzia in modo semplice ma puntuale un altro punto di vista per raccontare e comprendere la storia del mondo:
“Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?”
Diamond racconta che proprio da questa domanda partì per sviluppare il suo lavoro più importante. Una domanda che non riguarda solo la Nuova Guinea, ma il mondo intero, e rimane centrale per comprendere la storia degli uomini e in particolare degli ultimi cinque secoli, che hanno visto gli europei partire alla conquista di quasi tutto il resto del mondo.
Il libro di Jared, Armi, acciaio e malattie – una breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, racchiude quasi trent’anni di ricerca e risponde alla domanda di Yali. Il testo, vincitore del Premio Pulitzer del 1998, cerca di superare quei luoghi comuni e quelle rappresentazioni che purtroppo, a oltre vent’anni dalla sua pubblicazione e a oltre settanta dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, hanno ripreso campo nell’immaginario collettivo. Un immaginario preda del cinismo dei media e delle fake più assurde che trovano ascolto e consenso in un popolo agitato da molteplici paure e alla ricerca di facili rassicurazioni.
Il lavoro di Diamond ripercorre la storia dei popoli e delle loro migrazioni smentendo tutte le teorie sulle differenze razziali, sulla superiorità intellettiva dei bianchi, sulle capacità stimolanti del clima freddo, sull’energia e sulla creatività in contrasto con la pigrizia causata dal caldo e dall’umido dei tropici. L’autore, ponendo al centro della sua analisi la storia non come semplice collezione dei fatti, aiuta a comprendere che “Il destino dei popoli è stato così diverso a causa delle differenze ambientali, non biologiche, tra i popoli medesimi”.
Vi proponiamo di riascoltare e meditare sulla domanda di Yali: “Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?
Questo ascolto ha permesso a Jared Diamond di impegnarsi nel costruire una rappresentazione complessa della realtà attraverso la raccolta di innumerevoli voci, ricerche e approfondimenti. Chissà che, anche per ognuno di noi, questa domanda non valga da stimolo per approfondire meglio le questioni che la realtà ci presenta continuando a cercare e a credere in un futuro di pace per il pianeta e per la convivenza tra i popoli e celebrando così, in modo non retorico, la cultura dei diritti a cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo fa riferimento.
Amedeo Gagliardi