26 Apr Per un’occupazione di cittadinanza
Esperienze di occupazione e di educazione al lavoro per le persone più vulnerabili: i Laboratori
Il contributo di Amedeo Gagliardi nell’ambito del Convegno “Lavoro e Salute Mentale: nuove rotte per nuovi viaggiatori.”, organizzato dal Comune di Genova.
Premesse
Come interpretare il ruolo di operatore sociale e di educatore?
Un “ricercatore del quotidiano” che cerca di essere all’altezza del quotidiano prendendo in considerazione il non-razionale volgendo lo sguardo verso attività creative che aiutano a vivere. (Michel De Certau – L’invenzione del quotidiano). In particolare essere educatore vuol dire tener conto che è interesse collettivo socializzare le persone coinvolte nei nostri ambiti secondo i valori della democrazia. Tali valori si individuano nella capacità di stare nel cambiamento e riadattamento continuo in ordine alle nuove situazioni prodotte dal cambio di relazioni. Dovremo di conseguenza cercare di chiedere e chiederci quale significato si attribuisce all’esperienza che si vive. Un capovolgimento del paradigma pedagogico in ordine alla trasmissione. Tali valori si possono trasmettere ripudiando il principio dell’autorità esterna, facendo leva su un’esperienza che è soprattutto forma di vita associata, di esperienza continuamente comunicata, di realtà che necessita una continua interpretazione. Aumentare gli spazi di tale esperienza è aiutare a costruire senso critico, obiettivo di una democrazia che non può essere disgiunta da un’educazione cosí intesa. (John Dewey – Democrazia ed educazione).
Obiettivo del Focus
L’obiettivo del Focus è quello di portare alla luce esperienze e riflessioni che non sono propriamente dentro al mondo del lavoro ma che vengono vissute, dalle persone più vulnerabili, come un lavoro vero e necessario, che in molti casi ha favorito il miglioramento della qualità di vita.
Con il portare alla luce intendo anche la possibilità di contrastare una certa tendenza che vede queste persone come destinatarie di soli contributi assistenziali mentre per l’esperienza che abbiamo fatto in San Marcellino, è stato centrale, nel rendere concreto un progetto riabilitativo, l’idea di riannodare il pur debole legame sociale, attraverso esperienze che producano appartenenza, fiducia e speranza.
In San Marcellino questa è l’esperienza dei laboratori ma credo che in questo senso si possano coinvolgere anche tante altre esperienze che si muovono sul confine tra l’inserimento lavorativo e il sostegno sociale. Esperienze che cercano di uscire da logiche prettamente assistenziali per accedere a percorsi di promozione sociale.
L’esperienza – FSE – Prossimi al lavoro
Prossimi al Lavoro è stato un Progetto di “Tutte le Abilità al Centro” Asse III Inclusione sociale del Fondo Sociale Europeo 2007-2013, la cui finalita` e` stata quella di sviluppare percorsi di integrazione e di migliorare l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati per combattere ogni forma di discriminazione nel mercato del lavoro. Il progetto è stato attuato da un Partenariato: Associazione San Marcellino, Cooperativa sociale Il Melograno, Associazione Massoero 2000, Veneranda Compagnia di Misericordia, Fondazione San Marcellino, Centro Sportivo Paladonbosco, Provincia Religiosa San Benedetto di Don Orione e Cooperativa sociale La Scopa Meravigliante.
Prossimi al Lavoro, come si diceva, è stato un progetto per la realizzazione di attività di accompagnamento al lavoro ed integrazione sociale per persone in grave disagio, in particolare persone senza dimora, immigrati, profughi richiedenti asilo, soggetti in esecuzione penale ed ex-detenuti. Lo strumento utilizzato sono stati i laboratori di educazione al lavoro, dove si svolgono diverse tipologie di attività in situazioni di simulazione lavorativa. L’impegno nel laboratorio spinge a verificare ed accrescere le abilità di base richieste per operare all’interno delle strutture organizzative, garantendo un supporto individualizzato da parte di operatori che affiancano ogni destinatario durante la durata del percorso.
Di seguito una breve descrizione del laboratorio di educazione al lavoro.
L’obiettivo del laboratorio di educazione al lavoro è quello di offrire alle persone un’occasione per riflettere sull’esperienza del lavoro. Dare spazio alla produzione di senso è proprio lo specifico di un’attività di risocializzazione e di riabilitazione per attivare un processo di soggettivazione che, in modo graduale, sia capace di generare autostima, gratificazione e riconoscimento. Le persone che prendono parte all’esperienza del laboratorio potranno in questo senso confrontarsi con alcune competenze che costituiscono la struttura stessa del lavoro:
– organizzare il proprio tempo attorno ad un impegno quotidiano;
– la relazione con i colleghi in un’attività strutturata;
– la relazione in una situazione gerarchicamente orientata;
– la gestione delle situazioni conflittuali.
Questo permette di restituire valutazioni su come le persone partecipano all’esperienza in modo da stimolare anche un’attività di autovalutazione. Il laboratorio presenta alcune specificità:
– composto da un numero di apprendisti e un tecnico-responsabile dell’attività;
– il responsabile ha competenze di natura relazionale e tecnica per l’attività svolta;
– inserimenti e dimissioni vengono discussi insieme agli operatori della rete;
– si verifica in modo continuo il livello di motivazione, interesse e collaborazione;
– il laboratorio ha un orario definito;
– si dialoga settimanalmente sull’esperienza in corso;
– i partecipanti ricevono un sussidio in denaro.
Il progetto ha permesso inoltre di attivare interventi d’inserimento socio-lavorativo mediante l’utilizzo dei percorsi d’inclusione per 10 persone presso aziende esterne.
Il progetto è stato attivo dal dicembre 2012 al giugno 2015, 28 mesi, e nel suo complesso ha intercettato 111 persone.
In riferimento a queste persone e agli obiettivi esplicitati in fase programmatoria tentiamo alcune riflessioni. La questione centrale, a nostro giudizio, rimane quello di tentare, anche con soggetti che presentano un’alta vulnerabilità sociale, di costruire appartenenza sociale per tentare un cammino verso un rinnovato senso di cittadinanza.
L’esperienza ha visto la sua difficoltà nel far progredire la relazione da assistenziale a educativa. Questo vuol dire andare oltre uno schema che assegna alle parti, operatori e utenti, compiti precisi e circoscritti. L’esperienza ha mostrato come sia faticoso per entrambe le parti intraprendere una relazione dove lo schema assistenziale viene destrutturato per avviarne uno nuovo e diverso. La nuova relazione, avviata con gradualità, segna la necessità di riconoscersi nella dimensione della reciprocità: uno schema dove entrambe le parti si riconoscono nella differenza e anche al di la delle loro funzioni, dove lo scambio diventa il focus di una continua negoziazione del senso e della propria soggettività. Attraversare e provare ad agire tale cambiamento attraverso il lavoro descritto nei laboratori non è semplice, l’incontro con le diverse persone che hanno aderito al progetto non è sempre stato agevole ed immediato. La costruzione di un piano di fiducia necessario per permettere il lavoro descritto, inerente alle capacità e di conseguenza al riconoscimento delle proprie difficoltà nella dimensione lavorativa, ha presentato non pochi ostacoli, conflitti, incomprensioni e anche fallimenti.
Per comprendere queste difficoltà abbiamo costruito una sorta di “identikit della persona” per l’insieme di persone coinvolte dal progetto. Tale identikit si è formato cercando di raccogliere alcuni dati: sesso, età, luogo di nascita, curriculum scolastico, lavorativo, riconoscimento d’invalidità civile. La raccolta di tali dati non è stata semplice, soprattutto per i curriculum lavorativi e scolastici: spesso le persone non gradivano farne parola e/o tendevano a fare racconti poco realistici. Tale raccolta ha rivela la vulnerabilità del gruppo e nelle nostre intenzioni vuole essere una sorta di feed-back per la programmazione delle prossime “misure” per l’inclusione sociale.
Di queste 111 persone 72 sono di sesso maschile: quasi il 65 per cento, mentre 39 sono di sesso femminile. Generalmente la composizione per sesso vede prevalere la parte maschile, in questo caso vediamo che tale parte non prevale in modo così schiacciante come in altre situazioni.
L’età media del gruppo si attesta sui 49,8 anni: non possiamo certo in questo caso parlare di giovani e sembrerebbe davvero difficile parlare d’inserimento lavorativo, inoltre bisogna tener conto che nessuno del gruppo in esame ha più di 65 anni e gli under 35 del gruppo sono solo 11 persone, il 10 per cento circa. Il gruppo pertanto è costituito da persone che hanno un’età difficile per rientrare nel mondo del lavoro.
Altro dato interessante è a nostro avviso il luogo di nascita di queste 111 persone: solo 36 persone del gruppo sono nate a Genova, poco più del 30 per cento; i restanti 75 sono nati fuori Genova, in particolare 33 fuori Italia. Questo dato lascia comprendere come la maggior parte di queste persone, oltre il 70%, vive lontano dalla propria rete parentale. Questo costa in termini di vulnerabilità, le persone si confrontano con il mondo senza riferimenti e senza il sostegno delle famiglie.
La scolarizzazione del gruppo consente di comprendere meglio le difficoltà di accesso: solo 15 persone presentano titoli che vanno oltre la licenza media, compresi i titoli professionali. Questo vuol dire che quasi il 90 per cento non è andato oltre la terza media. Segnaliamo inoltre che 26 hanno solo la licenza elementare e ben 8 persone non hanno nessun titolo di studio
Il dato sul curriculum lavorativo è davvero eloquente: vediamo che 64 persone, quasi il 60 per cento, non ha mai avuto nella vita un lavoro in regola e correlando questo dato con quello dell’età di riferimento del gruppo si capisce ancora meglio la distanza dal mondo e dalla cultura del lavoro che queste persone presentano. Mentre per le rimanenti 47 persone che in passato hanno avuto esperienze di lavoro, risulta che da molti anni ne sono fuori nutrendo ormai poche speranze di rientro.
Dato interessante è anche quello sulle persone con riconoscimento d’invalidità civile, queste sono 44, contando che altri entrando nel progetto hanno da poco avviato la pratica di riconoscimento e che molti dei 33 nati fuori Italia non avendo cittadinanza italiana non ne possono fare richiesta.
Altro dato è quello delle interruzioni improvvise ed inaspettate del progetto da parte delle persone: questo evento si è verificato per 35 persone, circa il 30 per cento, dato che testimonia la difficoltà di tenuta anche per progetti come questo che presenta attività considerate nella normalità, come facili ed accessibili. Di queste 35 persone è bene inoltre rilevare come per 13 di questi l’interruzione è giustificata: per 7 di essi da gravi motivi di salute, per 3 da carcerazione e per altri 3 da decesso.
Infine vediamo che il dato sull’inserimento lavorativo vede solo per una di queste 111 persone l’aver traguardato un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, part-time, un altro ancora è stato assunto a tempo determinato.
Il progetto si è mosso all’interno di un’area difficile. Un’area che ne comprende almeno due, che procedono spesso in modo alternativo: quella del lavoro, dove il progetto ha presentato incentivi concreti verso l’inserimento lavorativo per combattere ogni forma di discriminazione nel mercato del lavoro; quella del servizio sociale, dove il progetto ha cercato di portare le persone verso un riconoscimento sociale e di reddito, atte a favorirne, una maggiore capacità di soggettivazione.
Il dato di due persone su le 111 che vanno verso un inserimento lavorativo ci sembra un dato inequivocabile. Allargare il paradigma dell’inserimento lavorativo vuol dire, a nostro giudizio, cominciare a misurare l’impatto di questi progetti sul piano del miglioramento della qualità della vita attraverso diversi strumenti occupazionali. A questo riguardo ad esempio l’esperienza mostra come nel corso dei 28 mesi di attività il 65% delle persone coinvolte, quasi tutti coloro che sono rimasti agganciati al progetto, hanno migliorato la loro situazione di vita.
Considerazioni finali.
Oggi le possibilità di entrare nel mercato del lavoro per queste persone sembrano davvero remote. Per contro sappiamo come il lavoro sia parte integrante della vita e come tale va preso in considerazione. Il lavoro, alla stregua della casa, degli affetti e delle relazioni in genere, rappresenta nella vita di una persona una risorsa sia reale che simbolica. Esso è fattore determinante nel processo di riconoscimento sociale ed è risorsa per la propria autonomia. Il lavoro è fattore fondamentale per intraprendere un percorso che migliori le condizioni della propria esistenza. In questo senso, anche se dobbiamo tenere presente che l’obiettivo ultimo è quello dell’inserimento lavorativo a pieno titolo e con pieni diritti, dobbiamo constatare come il piano di realtà ci spinga ad agire la migliore mediazione possibile per dare possibilità al cambiamento: sul piano dell’appartenenza, dell’autostima, del riconoscimento. In questo senso l’esperienza conferma la necessità di continuare a rendere praticabili forme di occupazione, a metà tra il mondo del lavoro e quello del servizio sociale, che conferendo riconoscibilità e reddito garantiscano un’alternativa ad una vita isolata che cronicizza ed esclude le persone. Oggi manca una strada legislativa che renda legittimi tali strumenti.