Questo povero grida

Questo povero grida

«Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal. 34,7)

 

Il titolo scelto da Papa Francesco per la II Giornata Mondiale dei Poveri  – prevista quest’anno per domenica 18 novembre –  è bello e impegnativo.

La bellezza e l’impegno della Giornata sono condensati in tre verbi nel messaggio del Papa: Gridare, Rispondere, Liberare.

Gridare

La condizione di povertà non si esaurisce in una parola, ma diventa un grido che attraversa i cieli e raggiunge Dio. Che cosa esprime il grido del povero se non la sua sofferenza e solitudine, la sua delusione e speranza? Possiamo chiederci: come mai questo grido, che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili?

In una Giornata come questa, siamo chiamati a un serio esame di coscienza per capire se siamo davvero capaci di ascoltare i poveri. È il silenzio dell’ascolto ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la loro voce.

Rispondere

Il Signore, dice il Salmista, non solo ascolta il grido del povero, ma risponde. La sua risposta, come viene attestato in tutta la storia della salvezza, è una partecipazione piena d’amore alla condizione del povero. È stato così con Abramo, con Mosè, con il popolo di Israele lungo tutto il cammino nel deserto.

La risposta di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità. La risposta di Dio è anche un appello affinché chiunque faccia altrettanto nei limiti dell’umano.

La Giornata Mondiale dei Poveri intende essere una piccola risposta della Chiesa, una goccia d’acqua nel deserto della povertà, che tuttavia può essere un segno di condivisione per quanti sono nel bisogno. Non è un atto di delega ciò di cui i poveri hanno bisogno, ma di coinvolgimento personale di quanti ascoltano il loro grido.

Liberare

Il povero della Bibbia vive con la certezza che Dio interviene a suo favore per restituirgli dignità. La povertà non è cercata, ma creata dall’egoismo, dalla superbia, dall’avidità e dall’ingiustizia. Mali antichi quanto l’uomo, ma pur sempre peccati che coinvolgono tanti innocenti e portano a conseguenze sociali drammatiche. La salvezza di Dio prende la forma di una mano tesa verso il povero, che offre accoglienza, protegge e permette di far sentire l’amicizia di cui ha bisogno. È a partire da questa vicinanza concreta e tangibile che prende avvio un genuino percorso di liberazione: «Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società» (Evangelii gaudium, 187).

Questo stile di vita che porta ad ascoltare il povero che grida e a farsi vicini è un atteggiamento opposto a quello crescente nella nostra società che invece, come dice Papa Francesco, tende a creare distanza tra sé e loro, a cercare di “aiutare” il povero rendendolo invisibile ai nostri occhi.

Per liberare le persone dalla povertà, dalla solitudine, dalla disperazione, siamo tutti chiamati a rendere la nostra città – la nostra società – più accogliente e in grado di ascoltare chi è senza dimora (segno anche delle ingiustizie della nostra società), i migranti (espressione anche delle disuguaglianze a livello mondiale) e il grido di quanti di volta in volta vengono colpiti da drammi improvvisi quali quello del crollo del ponte Morandi (espressione anche degli egoismi e degli accadimenti della vita).

 

In evidenza: opera di Alessandro Avanzi – Laboratori Artistici di San Marcellino



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